Il sistema economico italiano arrancava e arranca (ovviamente oggi più che in passato), pur avendo un enorme potenziale.
Il primo (non l’unico) motivo di tutto questo sta nell’individualismo spinto che caratterizza molti di noi.
Mi soffermo sull’individualismo perché è un difetto che possiamo eliminare indipendentemente da quello che faranno i politici, l’Europa, il Covid, Putin e le congiunzioni astrali: dipende solo da noi.
L’individualismo ci penalizza perché ci rende incapaci di fare un gioco di squadra efficace, ci condanna a restare piccoli (pensiamo alle dimensioni medie delle altre imprese europee) e a portarci dietro una carenza cronica di risorse e competenze.
It’s time to change
Serve una nuova classe imprenditoriale/professionale perché il sistema economico italiano non deve e non può stare in piedi basandosi su un numero sempre più ristretto di eccellenze.
Era vero prima del Coronavirus, prima della guerra in Ucraina e dello shock energetico e adesso è più vero che mai!
Professionista = Imprenditore?
Attenzione: dico per l’ennesima volta che i ragionamenti fatti sull’imprenditoria sono perfettamente applicabili alle attività professionali (di qualunque genere, ordinistiche e non).
Perché?
Perché, quando parliamo di sviluppo (in questo caso di sopravvivenza prima e di ripartenza poi) del business, il modo di pensare e agire dev’essere quello di un Imprenditore Evoluto.
Dobbiamo cioè pensare diversamente, decidere, vendere il prodotto/erogare il servizio, comunicare, organizzare, gestire la finanza, rapportarci ai clienti ai fornitori ecc.
Chi non condivide quest’opinione non venga a dirmi che gli Ordinamenti Professionali vietano l’attività imprenditoriale e/o che la nostra (nel mio caso quella del commercialista) è una prestazione d’opera intellettuale specificamente normata.
Dirlo significa non aver compreso che pensare e agire imprenditorialmente non significa non rispettare le regole (derivino esse dalla Legge o dall’Ordine di appartenenza) bensì adoperarsi per lo sviluppo sostenibile ed esponenziale della propria attività professionale.
Cambiamento what?
Come evolversi imprenditorialmente? Attraverso un cambiamento profondo.
Quale la natura del cambiamento e perché parlarne anche quando siamo tutti focalizzati sull’inventarci l’inventabile per attraversare indenni la crisi?
Vediamolo insieme.
Natura del cambiamento
Il cambiamento
– È un’evoluzione culturale.
Impatta sul nostro modo di concepire l’impresa, le sue finalità e le relazioni che ruotano dentro e intorno ad essa.
Significa aver ben chiaro in testa il significato di intraprendere e avere un modello di riferimento ben diverso dai tanti modelli imprenditoriali inadeguati presenti (il Timbra-cartellino, il Mulo factotum, il Criceto, quei lavoratori autonomi e quegli affaristi che si dichiarano imprenditori e in realtà fanno altro).
Serve pure a capire se si è veramente tagliati per fare gli imprenditori, attività assolutamente non democratica perché non riservata a tutti.
– È sistemico.
Tocca l’intero sistema aziendale in tutte le sue funzioni, in tutti i suoi processi, in tutte le persone presenti, in tutti i suoi meccanismi nessuno escluso.
Non basta introdurre separatamente lo smart working, la vendita online, la comunicazione, il controllo di gestione, ecc.
Serve un piano innovativo articolato temporalmente e funzionalmente, volto a portare avanti le innovazioni in modo organizzato e armonico.
La mancanza di competenze non freni il cambiamento: la capacità progettuale e realizzativa richiesta è comunque sviluppabile acquisendo sul mercato le competenze mancanti.
– È graduale.
Non ci non sarà il tutto subito (disastro assicurato), bensì il tutto graduale e ben organizzato (comprensione, condivisione, allineamento e attuazione).
– È investimento di risorse.
Non cambiamo per grazia del Signore e per farlo dobbiamo mettere sul piatto denaro, tempo, energia.
L’acquisizione delle tre risorse, nella stragrande maggioranza dei casi, è assolutamente fattibile.
La loro carenza troppo spesso dipende da un loro cattivo utilizzo e altrettanto spesso dalla nostra totale inconsapevolezza o disattenzione al riguardo.
– Non è facile.
Non è facile perché dobbiamo cambiare abitudini.
Come farlo? Certamente non buttando via il buono che si è realizzato bensì integrandolo e liberandoci di tutto quello che è inutile o addirittura dannoso.
Non è facile perché significa;
– abbandonare l’autoreferenzialità;
– imparare a parlare semplice quando ci viene spontaneo parlare difficile;
– supportare le nostre opinioni con i dati e abbandonarle quando necessario;
– mettersi (veramente) nei panni degli altri;
– ascoltare (sul serio);
– superare le mille credenze limitanti che si stanno bloccando;
– uscire dalla nostra (dis)comfort zone.
La difficoltà non deve intimorirti perché già in passato hai superato molti momenti difficili e, soprattutto, perché il cambiamento ti farà vivere meglio.
Perché parlare di cambiamento anche in questo momento?
Per tre motivi:
1) Perché è inevitabile.
È pensabile che vi sia ancora spazio per gli Imprenditori Old Style?
Sì, se si è disposti a fallire o a diventare i nuovi poveri.
Meglio evitarlo.
2) Perché ora abbiamo tempo per rifletterci sopra.
La lunga pausa forzata del momento ci offre l’opportunità di fermarci a pensare su come ripartire e cosa voler divenire.
3) Perché adesso si è meno egoisti del solito.
Chi ha detto che un processo di cambiamento non possa essere anche un processo di filiera/rete?
Chi ha detto che non lo si possa fare insieme e, unendo le forze, superare un problema di scarsità di risorse (che spesso si traduce in un venetissimo “manca i schei”) apparentemente irrisolvibile?
Ricapitolando, quali sono i veri freni al cambiamento?
Mi limito a segnalare i due per me principali:
Noi stessi, incapaci di metterci in discussione.
Leadership: una qualità/competenza rara, spesso confusa con il ruolo coperto e non compresa nella sua intima essenza.
Non dimentichiamocelo mai: il Leader forma squadre, non è uno che pontifica dall’alto di uno scranno. Lo siamo? Sta a noi scoprirlo.
Un appello per chi si sente leader: datti da fare per dimostrare se lo sei sul serio!
Condividi questo post e se hai domande, critiche, osservazioni da esporre o se vuoi raccontarci la tua esperienza del momento scrivi sui commenti o su alessandro.vianello@eftilia.it
Se intendi leggere precedenti articoli non letti, se vuoi pormi domande/critiche/osservazioni o vuoi condividere la tua esperienza del momento, scrivilo sui commenti o su alessandro.vianello@eftilia.it
Come eravamo (maledetto individualismo)
Il sistema economico italiano arrancava e arranca (ovviamente oggi più che in passato), pur avendo un enorme potenziale.
Il primo (non l’unico) motivo di tutto questo sta nell’individualismo spinto che caratterizza molti di noi.
Mi soffermo sull’individualismo perché è un difetto che possiamo eliminare indipendentemente da quello che faranno i politici, l’Europa, il Covid, Putin e le congiunzioni astrali: dipende solo da noi.
L’individualismo ci penalizza perché ci rende incapaci di fare un gioco di squadra efficace, ci condanna a restare piccoli (pensiamo alle dimensioni medie delle altre imprese europee) e a portarci dietro una carenza cronica di risorse e competenze.
It’s time to change
Serve una nuova classe imprenditoriale/professionale perché il sistema economico italiano non deve e non può stare in piedi basandosi su un numero sempre più ristretto di eccellenze.
Era vero prima del Coronavirus, prima della guerra in Ucraina e dello shock energetico e adesso è più vero che mai!
Professionista = Imprenditore?
Attenzione: dico per l’ennesima volta che i ragionamenti fatti sull’imprenditoria sono perfettamente applicabili alle attività professionali (di qualunque genere, ordinistiche e non).
Perché?
Perché, quando parliamo di sviluppo (in questo caso di sopravvivenza prima e di ripartenza poi) del business, il modo di pensare e agire dev’essere quello di un Imprenditore Evoluto.
Dobbiamo cioè pensare diversamente, decidere, vendere il prodotto/erogare il servizio, comunicare, organizzare, gestire la finanza, rapportarci ai clienti ai fornitori ecc.
Chi non condivide quest’opinione non venga a dirmi che gli Ordinamenti Professionali vietano l’attività imprenditoriale e/o che la nostra (nel mio caso quella del commercialista) è una prestazione d’opera intellettuale specificamente normata.
Dirlo significa non aver compreso che pensare e agire imprenditorialmente non significa non rispettare le regole (derivino esse dalla Legge o dall’Ordine di appartenenza) bensì adoperarsi per lo sviluppo sostenibile ed esponenziale della propria attività professionale.
Cambiamento what?
Come evolversi imprenditorialmente? Attraverso un cambiamento profondo.
Quale la natura del cambiamento e perché parlarne anche quando siamo tutti focalizzati sull’inventarci l’inventabile per attraversare indenni la crisi?
Vediamolo insieme.
Natura del cambiamento
Il cambiamento
– È un’evoluzione culturale.
Impatta sul nostro modo di concepire l’impresa, le sue finalità e le relazioni che ruotano dentro e intorno ad essa.
Significa aver ben chiaro in testa il significato di intraprendere e avere un modello di riferimento ben diverso dai tanti modelli imprenditoriali inadeguati presenti (il Timbra-cartellino, il Mulo factotum, il Criceto, quei lavoratori autonomi e quegli affaristi che si dichiarano imprenditori e in realtà fanno altro).
Serve pure a capire se si è veramente tagliati per fare gli imprenditori, attività assolutamente non democratica perché non riservata a tutti.
– È sistemico.
Tocca l’intero sistema aziendale in tutte le sue funzioni, in tutti i suoi processi, in tutte le persone presenti, in tutti i suoi meccanismi nessuno escluso.
Non basta introdurre separatamente lo smart working, la vendita online, la comunicazione, il controllo di gestione, ecc.
Serve un piano innovativo articolato temporalmente e funzionalmente, volto a portare avanti le innovazioni in modo organizzato e armonico.
La mancanza di competenze non freni il cambiamento: la capacità progettuale e realizzativa richiesta è comunque sviluppabile acquisendo sul mercato le competenze mancanti.
– È graduale.
Non ci non sarà il tutto subito (disastro assicurato), bensì il tutto graduale e ben organizzato (comprensione, condivisione, allineamento e attuazione).
– È investimento di risorse.
Non cambiamo per grazia del Signore e per farlo dobbiamo mettere sul piatto denaro, tempo, energia.
L’acquisizione delle tre risorse, nella stragrande maggioranza dei casi, è assolutamente fattibile.
La loro carenza troppo spesso dipende da un loro cattivo utilizzo e altrettanto spesso dalla nostra totale inconsapevolezza o disattenzione al riguardo.
– Non è facile.
Non è facile perché dobbiamo cambiare abitudini.
Come farlo? Certamente non buttando via il buono che si è realizzato bensì integrandolo e liberandoci di tutto quello che è inutile o addirittura dannoso.
Non è facile perché significa;
– abbandonare l’autoreferenzialità;
– imparare a parlare semplice quando ci viene spontaneo parlare difficile;
– supportare le nostre opinioni con i dati e abbandonarle quando necessario;
– mettersi (veramente) nei panni degli altri;
– ascoltare (sul serio);
– superare le mille credenze limitanti che si stanno bloccando;
– uscire dalla nostra (dis)comfort zone.
La difficoltà non deve intimorirti perché già in passato hai superato molti momenti difficili e, soprattutto, perché il cambiamento ti farà vivere meglio.
Perché parlare di cambiamento anche in questo momento?
Per tre motivi:
1) Perché è inevitabile.
È pensabile che vi sia ancora spazio per gli Imprenditori Old Style?
Sì, se si è disposti a fallire o a diventare i nuovi poveri.
Meglio evitarlo.
2) Perché ora abbiamo tempo per rifletterci sopra.
La lunga pausa forzata del momento ci offre l’opportunità di fermarci a pensare su come ripartire e cosa voler divenire.
3) Perché adesso si è meno egoisti del solito.
Chi ha detto che un processo di cambiamento non possa essere anche un processo di filiera/rete?
Chi ha detto che non lo si possa fare insieme e, unendo le forze, superare un problema di scarsità di risorse (che spesso si traduce in un venetissimo “manca i schei”) apparentemente irrisolvibile?
Ricapitolando, quali sono i veri freni al cambiamento?
Mi limito a segnalare i due per me principali:
Non dimentichiamocelo mai: il Leader forma squadre, non è uno che pontifica dall’alto di uno scranno. Lo siamo? Sta a noi scoprirlo.
Un appello per chi si sente leader: datti da fare per dimostrare se lo sei sul serio!
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Avanti Italia, avanti tutti!
_ Alessandro Vianello _
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Part one: l’atteggiamento mentale in situazione di crisi
Part two: crisi e scenari
Part three: strategia di risposta
Part four: crisi e accertamento della propria situazione di base
Part five: come e perché fare monitoraggio
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