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Possibilità di applicare la disciplina del c.d. “ravvedimento operoso” (di cui all’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472 del 18 dicembre 1997) anche alla fattispecie della restituzione di contributi a fondo perduto ricevuti in base alla normativa emergenziale e successivamente alla richiesta di integrazione documentale da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Abstract: La fattispecie concreta si fonda sulla presentazione, da parte di un contribuente, di un’istanza per l’accesso ai contributi statali a fondo perduto previsti dalla normativa emergenziale. A séguito di tale domanda, l’Agenzia dell’Entrate – dopo l’erogazione del contributo – ha richiesto all’interessato della documentazione integrativa. Nella predisposizione di tale documentazione, il contribuente si accorge di non avere i requisiti per l’ottenimento dei ristori. Il quesito posto riguarda la possibilità di poter applicare l’istituto del ravvedimento operoso per la restituzione di tali somme indebitamente percepite; questo, nonostante la richiesta di documentazione integrativa formalizzata dall’Amministrazione Finanziaria.

Disciplinato dall’art. 13 del Decreto legislativo n. 472 del 18 dicembre 1997, il ravvedimento operoso riconosce al contribuente la possibilità di regolarizzare la propria posizione in caso di omesso, insufficiente o tardivo versamento di imposta, attraverso il pagamento di sanzioni ridotte.

In breve, è possibile pagare l’imposta dovuta alla quale devono aggiungersi le sanzioni, da versarsi in misura ridotta rispetto ai minimi edittali, oltre agli interessi calcolati al tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito.

Nel corso del tempo l’istituto ha sperimentato un progressivo ampliamento dell’ambito di applicazione.

Riduzione degli elementi ostativi previsti ex Lege

Prima delle modifiche introdotte dalla c.d. “Legge di Stabilità per il 2015”, per poter usufruire dell’istituto in oggetto occorreva rispettare determinati presupposti oggettivi negativi, quali la mancata notificazione della constatazione all’interessato ovvero l’inesistenza di accessi, ispezioni o verifiche, formalmente comunicate allo stesso.

Attualmente, l’unico elemento preclusivo alla possibilità di fruizione dell’istituto da parte del contribuente è rappresentato dalla formale notifica a suo carico di un avviso di accertamento o di liquidazione; l’art. 13, comma 1-ter, del D.lgs 472/1997 in effetti testualmente dispone: ”Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate non opera la preclusione di cui al comma 1, primo periodo, salva la notifica degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni recanti le somme dovute […]. La preclusione di cui al comma 1, primo periodo, salva la notifica di avvisi di pagamento e atti di accertamento, non opera neanche per i tributi doganali e per le accise amministrati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli. […]”.

Di conseguenza, ad oggi il ravvedimento è inibito solo dalla notifica degli atti di liquidazione e di accertamento (comprese le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni). In ogni caso, il pagamento e la regolarizzazione non precludono l’inizio o la prosecuzione di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo e accertamento.

Ampliamento delle imposte “ravvedibili”.

Il medesimo art. 13 è stato oggetto di modifiche legislative anche con riferimento alle imposte in relazione alle quali è possibile ravvedersi. L’art. 10 bis del Decreto-legge 124 del 26 ottobre ha abrogato il comma 1-bis del citato art. 13, che consentiva l’applicazione delle riduzioni sanzionatorie ai soli tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate nonché ai tributi doganali e alle accise amministrati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Inoltre, ammetteva la riduzione delle sanzioni a un quinto del minimo esclusivamente per i tributi gestiti dalle Entrate.

A seguito della citata modifica legislativa, la portata dell’istituto in esame è stata ampliata fino a comprendere qualsiasi tipo di tributo, inclusi quelli regionali e comunali, purché l’omissione o l’errore non siano stati già accertati e non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore ha avuto formale conoscenza.

Fattispecie concreta: un caso esemplificativo.

Per meglio comprendere il funzionamento ad oggi del c.d. ravvedimento operoso e di tutte le conseguenze di tale atto, proviamo a esaminare una fattispecie concreta.

Il contribuente ha presentato un’istanza per l’accesso ai contributi statali a fondo perduto, non meglio specificati, previsti dalla normativa emergenziale. A seguito di tale domanda, l’Agenzia dell’Entrate – dopo l’erogazione del contributo – ha richiesto, al beneficiario, della documentazione integrativa.

Nella predisposizione di tale documentazione, il contribuente si è accorto di non avere i requisiti per l’ottenimento di tali ristori.

Verifica dell’applicabilità in tema di percezioni di sovvenzioni statali.

È opportuno valutare se sia possibile applicare de plano l’istituto del ravvedimento operoso al caso in esame.

In effetti, laddove l’istituto del ravvedimento operoso attiene all’omessa dichiarazione, l’erronea determinazione ovvero il mancato pagamento (anche in misura parziale) di un tributo, nella fattispecie concreta si è avuta una situazione diametralmente opposta, quale deve essere considerata l’erogazione, a favore di un contribuente, di una sovvenzione non dovuta.

Tale presupposto fattuale non sembrerebbe poter ricadere, dati i suoi caratteri di eccezionalità, all’interno della disciplina normativa di settore, nonostante l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso, precedentemente rimarcato.

L’interpretazione fornita è confortata dalla lettura del Provvedimento Prot. n. 77923/2021 del 23 marzo 2021 dell’Agenzia delle Entrate.

L’Amministrazione Finanziaria, infatti, al § 6 del provvedimento citato, ha ritenuto non tanto applicabile l’istituto del ravvedimento operoso, quanto le riduzioni sanzionatorie previste in caso di ravvedimento operoso anche alla diversa ipotesi della restituzione di somme percepite dal contribuente: “[…] Il soggetto che ha percepito il contributo in tutto o in parte non spettante, anche a seguito della rinuncia di cui al punto 3.4, può regolarizzare l’indebita percezione, restituendo spontaneamente il contributo ed i relativi interessi, con le modalità di cui al periodo precedente, e versando le relative sanzioni mediante applicazione delle riduzioni di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 17 dicembre 1997, n. 472. I versamenti di cui ai periodi precedenti sono effettuati mediante compilazione del modello F24 con specifici codici tributo e indicazioni forniti con apposita risoluzione”.

Dalla lettura del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate si evince, pertanto, come sia possibile – nel caso di specie – ottenere le stesse riduzioni conseguenti all’applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso, a seguito della restituzione spontanea, da parte del beneficiario, di quanto indebitamente ottenuto a titolo di contributo.

Modalità per conseguire le riduzioni sanzionatorie

La comunicazione tesa all’ottenimento delle riduzioni sanzionatorie, da formalizzarsi sulla base dei presupposti e dei requisiti analizzati, ha nella sostanza la natura giuridica della “rinuncia”, vale a dirsi di un atto unilaterale mediante il quale si ha un’estinzione del rapporto giuridico soggettivo per “abdicazione” del diritto da parte del suo titolare (per saperne di più su questo, Santoro Passarelli F. Dottrine generali del diritto civile, Ed. IX Editore Jovene, 1989).

Verifica della richiesta di documentazione integrativa quale elemento ostativo. Occorre valutare l’eventuale elemento ostativo – in relazione all’ottenimento delle riduzioni sanzionatorie – costituito dalla formale richiesta, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, della documentazione integrativa.

L’analisi, sulla base delle premesse, non deve effettuarsi in forza dell’applicazione in via diretta del disposto dell’art. 13, concernente il “ravvedimento operoso”, quanto sulla disamina della complessiva situazione.

Diversamente detto: la richiesta di documentazione integrativa che, in sé e per sé considerata, non impedisce l’applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso ai sensi di legge, può essere considerata ugualmente non ostativa in riferimento ad una fattispecie concernente l’indebita percezione di contributi? Ai fini della riduzione delle sanzioni, può considerarsi “spontanea” la restituzione dei contributi e dei relativi interessi da parte del contribuente, che vi proceda tuttavia a seguito del ricevimento di una richiesta di integrazione documentale da parte dell’Amministrazione Finanziaria?

Per fornire una risposta al quesito, occorre valutare, in concreto, la natura dei documenti richiesti in via integrativa dall’Ufficio.

Se, infatti, la richiesta di documentazione integrativa da parte dell’Amministrazione Finanziaria attenesse a documenti sui quali si fondasse in toto il diritto del contribuente ad ottenere i contributi richiesti, senza alcun margine di discrezionalità valutativa in capo all’Ufficio, ben difficilmente la restituzione dell’indebito, da parte del contribuente, potrebbe essere qualificata come “spontanea”. Conseguentemente, il beneficio della riduzione delle sanzioni, previsto dall’art. 13 del D. Lgs. n. 472/1997, non potrebbe trovare applicazione in quanto con la richiesta di integrazione formalizzata dall’Amministrazione Finanziaria ci si troverebbe già in una fase lato sensu “accertativa”.

Di contro, laddove la richiesta avesse ad oggetto documentazione utile al perfezionamento, da parte dell’Ufficio, della corretta valutazione dei presupposti del contributo (presupposti oggettivi provati aliunde), l’applicazione delle riduzioni di cui all’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472 del 1997 deriverebbe non tanto da un’applicazione dell’istituto al caso di specie, quanto piuttosto dai principi generali dell’ordinamento tributario.

Tra essi, assoluta preminenza, nella fase dialettica procedimentale tra Fisco e cittadino, deve essere data alla tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente. Il disposto dell’art. 10 della Legge n. 212 del 27 luglio del 2000, cosiddetto Statuto del Contribuente, espressamente prevede: “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede […]”.

Orbene, il legislatore ha voluto cristallizzare il principio di collaborazione e, quindi, favorire il dialogo (fase fisiologica) nei rapporti tra Amministrazione Finanziaria e contribuente prima dell’eventuale instaurazione del contraddittorio processuale (fase patologica).

La stessa giurisprudenza di legittimità riconosce un obbligo generale in capo all’Amministrazione finanziaria di attuare il contraddittorio endoprocedimentale al fine di tutelare i diritti e riconoscere le garanzie necessarie al contribuente sottoposto a verifiche fiscali (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015).

In generale, la richiesta di esibire o comunicare della documentazione integrativa attiene ad una fase preventiva ed endoprocedimentale rispetto all’eventuale fase accertativa o di contestazione ed è volta ad assicurare la leale collaborazione tra le parti. La stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 17/ E del 22 Giugno 2020, emanata nell’ambito dell’accertamento con adesione, ritiene cruciale il confronto anticipato con il contribuente al fine di assicurare la corretta pretesa erariale “Pertanto, il confronto anticipato con il contribuente assume un ruolo centrale nell’assicurare la corretta pretesa erariale e, in generale, nello spingere i contribuenti medesimi a incrementare il proprio adempimento spontaneo, così da ridurre, conseguentemente, il tax gap. In coerenza con tali finalità, gli uffici sono tenuti ad attivare e valorizzare il contraddittorio preventivo, ove possibile, anche nelle ipotesi accertative per le quali lo stesso non è obbligatoriamente previsto […]. Si osserva che il contribuente può decidere se partecipare o meno al procedimento in quanto la nuova disposizione prevede il relativo obbligo unicamente in capo all’Amministrazione, che è tenuta a convocare il contribuente per fornire chiarimenti o esibire documenti […]”.

Conclusioni. L’istituto del ravvedimento operoso non appare applicabile alla fattispecie così per come prospettata. Tuttavia, ai sensi del § 6 del Provvedimento Prot. n. 77923/2021 del 23 marzo 2021, dell’Agenzia delle Entrate, è riconosciuta all’interessato la possibilità di conseguire le riduzioni delle sanzioni, previste dell’art. 13 del D. Lgs. n. 472/1997, attraverso una comunicazione spontanea da inoltrarsi all’Ufficio competente, che sostanzialmente appare qualificabile come “rinuncia”. La spontaneità della rinuncia, se non può essere inficiata dalla mera richiesta di integrazione documentale avanzata dall’Ufficio, non può neanche essere aprioristicamente esclusa: sulla base dell’analisi, da condurre a livello sostanziale, della natura dei documenti richiesti ben ci si potrebbe già trovare nella fase “patologica” della relazione tributaria, con conseguente impossibilità di giovarsi della riduzione delle sanzioni.

avv. Alessandro fyrigos  _

avv. Luana De Bellonia  _

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