Dopo il rumore del greenwashing e il silenzio del greenhushing, emerge l’urgenza di un nuovo paradigma: comunicare la sostenibilità con consapevolezza, metodo e coerenza.
C’è un tempo per agire. E un tempo per raccontare. Nel campo della sostenibilità, i due momenti non sono separabili: sono, anzi, profondamente interdipendenti. Non esiste una buona comunicazione senza un’azione reale e misurabile. Ma nemmeno l’azione, da sola, è sufficiente se resta invisibile, non condivisa, non narrata.
Comunicare la sostenibilità significa assumersi la responsabilità di rendere visibili le proprie scelte. E in un contesto in cui le imprese sono sempre più sollecitate a rendere conto non solo su ciò che producono, ma su come e perché lo fanno, il saper rispondere è diventato un atto non solo strategico, ma anche – anzi, soprattutto – culturale.
Parlare di sostenibilità non significa “promuoversi”
La comunicazione sostenibile non è un’operazione estetica. Non si tratta di “apparire sostenibili”, ma di costruire un racconto fedele, trasparente e fondato.
Un racconto che si appoggia su:
dati documentabili, non enunciazioni generiche;
obiettivi dichiarati, non semplicemente buone intenzioni;
un linguaggio autentico, in grado di coinvolgere, non solo di convincere.
Tutto ciò presuppone una riflessione profonda sull’identità aziendale: quali valori ci guidano? Qual è il nostro impatto reale? Quale trasformazione vogliamo generare – dentro e fuori l’organizzazione?
Tra greenwashing e greenhushing: il bisogno di un nuovo equilibrio
Se il greenwashing ha inficiato la fiducia in molte dichiarazioni aziendali, il greenhushing – il silenzio per paura di sbagliare – ha generato un altro paradosso: la rinuncia a raccontare ciò che davvero conta.
Il rischio, in entrambi i casi, è lo stesso: indebolire il legame con chi ascolta, con chi sceglie, con chi investe. Tuttavia, esiste una terza via: una comunicazione che nasce dalla consapevolezza del proprio ruolo e dall’umiltà di sapere che ogni percorso è migliorabile, purché condiviso.
Dunque, assetti adeguati e gestione ESG non sono percorsi separati: sono due dimensioni che devono integrarsi in un unico sistema di controllo e prevenzione. Le imprese che vogliono agire in modo consapevole devono lavorare su entrambi i fronti: predisporre strutture interne capaci di monitorare i rischi tradizionali e, insieme, integrare la gestione della sostenibilità come parte della governance ordinaria.
Le PMI: un capitale narrativo ancora inespresso
Spesso sono proprio le piccole e medie imprese a custodire storie preziose, azioni concrete, pratiche virtuose nate da visioni imprenditoriali lungimiranti o da un forte radicamento nei territori.
Tuttavia, queste storie restano spesso sommerse. Mancano gli strumenti per riconoscerne il valore, le risorse per organizzarle, i canali per comunicarle.
Ma ciò che non si racconta, non genera fiducia. E ciò che non si nomina, difficilmente evolve.
Sostenibilità come narrativa di senso
Saper comunicare la sostenibilità non è un semplice esercizio retorico. È, piuttosto, un processo di traduzione: dall’azione al significato, dal dato alla visione, dall’impatto all’identità. Per realizzare tutto ciò occorrono metodo, coraggio e lucidità. E una direzione strategica che trasformi la comunicazione da “voce fuori campo” a motore del cambiamento culturale.
Noi di Eftilia ne siamo convinti: non esiste una buona comunicazione senza verità. E non basta la verità, se non la sappiamo raccontarla. Per questo, comunicare la sostenibilità non è un’appendice, ma parte integrante della trasformazione. Ed è solo nel momento in cui le parole si radicano nell’azione, che la sostenibilità smette di essere una promessa e inizia a essere un patto.
Dopo il rumore del greenwashing e il silenzio del greenhushing, emerge l’urgenza di un nuovo paradigma: comunicare la sostenibilità con consapevolezza, metodo e coerenza.
C’è un tempo per agire. E un tempo per raccontare.
Nel campo della sostenibilità, i due momenti non sono separabili: sono, anzi, profondamente interdipendenti. Non esiste una buona comunicazione senza un’azione reale e misurabile. Ma nemmeno l’azione, da sola, è sufficiente se resta invisibile, non condivisa, non narrata.
Comunicare la sostenibilità significa assumersi la responsabilità di rendere visibili le proprie scelte.
E in un contesto in cui le imprese sono sempre più sollecitate a rendere conto non solo su ciò che producono, ma su come e perché lo fanno, il saper rispondere è diventato un atto non solo strategico, ma anche – anzi, soprattutto – culturale.
Parlare di sostenibilità non significa “promuoversi”
La comunicazione sostenibile non è un’operazione estetica.
Non si tratta di “apparire sostenibili”, ma di costruire un racconto fedele, trasparente e fondato.
Un racconto che si appoggia su:
Tutto ciò presuppone una riflessione profonda sull’identità aziendale: quali valori ci guidano? Qual è il nostro impatto reale? Quale trasformazione vogliamo generare – dentro e fuori l’organizzazione?
Tra greenwashing e greenhushing: il bisogno di un nuovo equilibrio
Se il greenwashing ha inficiato la fiducia in molte dichiarazioni aziendali, il greenhushing – il silenzio per paura di sbagliare – ha generato un altro paradosso: la rinuncia a raccontare ciò che davvero conta.
Il rischio, in entrambi i casi, è lo stesso: indebolire il legame con chi ascolta, con chi sceglie, con chi investe.
Tuttavia, esiste una terza via: una comunicazione che nasce dalla consapevolezza del proprio ruolo e dall’umiltà di sapere che ogni percorso è migliorabile, purché condiviso.
Dunque, assetti adeguati e gestione ESG non sono percorsi separati: sono due dimensioni che devono integrarsi in un unico sistema di controllo e prevenzione. Le imprese che vogliono agire in modo consapevole devono lavorare su entrambi i fronti: predisporre strutture interne capaci di monitorare i rischi tradizionali e, insieme, integrare la gestione della sostenibilità come parte della governance ordinaria.
Le PMI: un capitale narrativo ancora inespresso
Spesso sono proprio le piccole e medie imprese a custodire storie preziose, azioni concrete, pratiche virtuose nate da visioni imprenditoriali lungimiranti o da un forte radicamento nei territori.
Tuttavia, queste storie restano spesso sommerse.
Mancano gli strumenti per riconoscerne il valore, le risorse per organizzarle, i canali per comunicarle.
Ma ciò che non si racconta, non genera fiducia.
E ciò che non si nomina, difficilmente evolve.
Sostenibilità come narrativa di senso
Saper comunicare la sostenibilità non è un semplice esercizio retorico. È, piuttosto, un processo di traduzione: dall’azione al significato, dal dato alla visione, dall’impatto all’identità. Per realizzare tutto ciò occorrono metodo, coraggio e lucidità.
E una direzione strategica che trasformi la comunicazione da “voce fuori campo” a motore del cambiamento culturale.
Noi di Eftilia ne siamo convinti: non esiste una buona comunicazione senza verità.
E non basta la verità, se non la sappiamo raccontarla.
Per questo, comunicare la sostenibilità non è un’appendice, ma parte integrante della trasformazione.
Ed è solo nel momento in cui le parole si radicano nell’azione, che la sostenibilità smette di essere una promessa e inizia a essere un patto.
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